Nell’ultimo spettacolo in programma sul palco del teatro Astra, I giganti della montagna, opera incompiuta di Luigi Pirandello.
Il dramma diviso ed ideato in tre atti, fu completato solo nei primi due, alla morte del drammaturgo il figlio tenta una ricostruzione del testo, in quanto il padre gliene avrebbe suggerita la struttura.
La vicenda narra di una compagnia teatrale chiamata de La Contessa composta per lo più da disadattati. Arrivano in una villa buia e sinistra chiamata La Scalogna ed abitata dal Mago Cotrone.
Nella versione proposta da Roberto Latini questi ci conduce in un mondo dominato dalla paura, non faccio del resto fatica a crederlo. Guardandomi intorno mi compaiono due sentimenti in particolare, proprio la paura, dalla quale mi sento dominata spesso e volentieri! Dall’altra l’essere terrestre, e sappiamo bene quanto sia dominato anche da un altro terrificante sentimento…il risentimento nei confonti del prossimo.
Il palco è modulato dalle ombre e la fisicità dell’unico artista esplode prepotente. L’abilità nel calarsi in numerosi personaggi la forza del fisico che occupa il palco e la mia voglia di salire per provare a capire la consistenza del grano sotto il palmo della mano. Oppure osservare il temporale che diventa l’unica fonte di illuminazione della stanza e il ricco candelabro, antiche vestigia del passato, dondola come presenza inquietante all’interno di questo salone.
Il primo atto si compie nella paura, che sensazione viva in me! Ad un aumentare la poca conoscenza del luogo in un tempo che è sfuggente. Uno spettacolo che mi ha tenuta imbrigliata per cercare le ragioni della paura. Le mie le conosco abbastanza e non ho trovato ancora il medtodo giusto per catturarle e renderle meno paurose.